domenica 21 giugno 2009

Welby Englaro Crisafulli o del Coraggio socratico









Di fronte a situazioni estreme si perde il senso della visione e si guarda superficialmente o si nasconde la testa come gli struzzi. Questo atteggiamento separa i giudizi ed i fatti tra loro. Welby, Englaro e Crisafulli non sono separati, hanno un denominatore comune: Il coraggio di continuare a vivere; il coraggio di mettere fine. Da una parte i sostenitori della vita, di Crisafulli; dall'altra quelli di Welby e di Englaro padre. Da una parte i medici che sentenziano la "morte clinica" di Crisafulli -anche nell'eventualità asportargli qualche organo- ma i parenti, nonostante il suddetto verdetto di ospedali d'eccellenza (anche stranieri), lo sentono vivo, non possono lasciare di farlo tagliare a pezzi; continueranno da soli con le loro modeste possibilità economiche finchè il loro intuito o sensazione li ricompenserà. Anche Englaro padre avrà sentito qualcosa per la figlia, non si possono prendere simili decisioni se non si è veramente certi. Per Welby non ci sono stati dubbi sulla sua personale scelta. Possiamo dire che questi tre momenti sono stati orientati: chi dal futuro (Crisafulli), chi dal passato (Englaro) e chi dal presente (Welby). Il coraggio assieme al ruolo passato-presente-futuro sono i temi principali di un capitolo della quinta tetralogia socratico-platonica: "Il coraggio è scienza?". Vediamo alcuni punti più significativi per questo contesto.


L.- "...Nelle malattie non sono i medici quelli che conoscono i pericoli? O ti sembra che siano i coraggiosi a saperli? O chiami coraggiosi i medici?


N:-"Assolutamente no"..."Sarebbe a dire che egli crede (rivolta a Socrate) che i medici sappiano, a proposito degli ammalati, qualche cosa in più del distinguere ciò ch'è sano e ciò che non lo è. Invece conoscono proprio solo questo; se per caso per qualcuno l'essere sano fosse motivo di timore maggiore che l'essere malato, tu credi che i medici lo saprebbero? o non pensi che per molti sarebbe meglio non riprendersi dalla malattia, piuttosto che riaversi? Dimmi infatti: credi che per tutti sia meglio vivere o che per molti sia preferibile morire?


L:-"Ne sono anch'io convinto".


N:-"E quelli per cui il morire rappresenterebbe un vantaggio, tu credi temano la stessa cosa di quelli che invece hanno interese a vivere?"


L:-"No". N:-"Tu però sei disposto a riconoscere la capacità di sapere ciò ai medici e a tutti gli altri artigiani tranne a chi veramente sa ciò che si deve temere e ciò che non si deve temere e che io chiamo coraggioso?"... L:-"Io capisco che lui (rivolto a Socrate) chiama coraggiosi gli indovini. (Sapere se è preferibile morire o vivere)"


.....S:-"Dimmi allora...: affermi che il coraggio è scienza delle cose da temere e di quelle da osare?"..."Delle cose per cui esiste scienza, non c'è ne una riguardo al passato, per sapere come si è svolto, una per il presente, per conoscere come esso si attua, ed un'altra riguardo al futuro per intuire il modo migliore in cui si può realizzare e si realizzerà ciò che ancora non è avvenuto, ma che essa è unica. Ad esempio, per quanto riguarda la salute, non esiste che la medicina che, sola, indaga quanto avviene, è avvenuto, avverra..."


Risulta evidente che ai medici non deve venire delegata alcuna decisione in merito a ciò che è vita e ciò che è morte e nemmeno il monopolio sull'esecuzione dell'eutanasia (di morti per sanità medica ce ne sono fin troppi), che può essere decisa solo nei casi di tipo Welby, dove si avrà anche la libertà di scelta di chi attui un tale compito (sempre che questi accetti e sia preparato) anche se la soluzione da preferire, non violenta, è quella attuata con successo dai maestri yoga nell'astenersi dal cibo.