Il presente post continua da quello
immediatamente precedente “Il “Misterioso salto” dalla violenza carnale alla
violenza ospedaliera” e considera la seconda parte degli abusi e violenze
medico ospedaliere ai danni di Alexandrina da Costa la quale non poteva
scappare da tutto ciò in quanto rimasta paralizzata per tentare di fuggire da
una violenza carnale gettandosi dalla finestra.
Vedremo, in questa seconda parte, che nonostante i maltrattamenti,
umiliazioni, violazioni della privacy, soprusi e molto altro ancora riportato
nella prima parte il calvario medico
ospedaliero di Alexandrina non solo non finiva lì ma si inaspriva ancor più
negli anni a venire. Infatti, A. carica
di fede, volle vivere di solo ostia consacrata (Comunione); in sintesi
digiunava in modo assoluto a partire dal 27 Marzo 1942, così per oltre 13 anni. La sopravvivenza ad un tale eccezionale
digiuno non passò inosservata a persone influenti che deviarono una tale forza
della fede in un sospetto evento “soprannaturale” ed elaborarono una sentenza
ad hoc che provocò l’immediato intervento nel porre in sicurezza A. affinché
non fosse oggetto di continue visite per lo studio di tali straordinari fenomeni. Comunque, tutto ciò – calunnie, umiliazioni,
disprezzi etc.- creò diffidenza verso A. anche da parte di chi la stimava. A. fu privata del suo tutore P. Mariano Pinho
e con l’imposizione di consegnare tutte le lettere ricevute dal suo direttore
(altro abuso della privacy). In
seguito le fecero visita cinque persone e lei individuò tra questi un medico;
il loro interrogatorio fu fatto di frecciate.
Tutto ciò non era che il riferirsi nel rinchiuderla in ospedale per
osservazione dopo il 13° mese di assoluto digiuno. Infatti, il 27 marzo 1943 fu assoggettata ancora
a visite mediche che sopportò con rassegnazione e coraggio. Il 4 Giugno il
medico tutore e il confessore ordinario comunicarono e convinsero A. e la sua
famiglia al ricovero ospedaliero: sarebbe stata isolata per un mese in
osservazione. “Ella rispose
immediatamente di no! Ma si sentì subito per soggezione ad obbedienza
all’Arcivescovo, del suo direttore e medico curante e tutti coloro a lei
interessati . Costretta così ad
accettare A. avanzò le seguenti condizioni:
A) La Comunione quotidiana. B) Di essere sempre accompagnata da sua
sorella. C) Di non essere più sottoposta ad alcun esame perché andava per
osservazioni e non per esami.
Il 10 giugno partì per l’ospedale Foce del
Duro e fu per lei strazio la separazione:
“Il viaggio in ambulanza fu difficile, perché mi sembrava che il
cuore non reggesse..con le scosse dell’autolettiga mi sentivo afflitta..Giunti
all’ospedaletto della Foce, il dott. Gomes de Araùjo non permise che
l’autolettiga mi portasse fino alla porta, chiamò i pompieri affinchè
trasportassero la mia barella dopo avermi coperto il volto perché nessuno mi
vedesse. La salita delle scale mi costò un martirio perché mi portarono con la
testa all’ingiù. Mi scoprirono il volto
solo in camera..”
L’ingenuità di A. nel dettare le condizioni
affinché accettasse l’imposizione ospedaliera si rivelò tale non appena il suo
ingresso dove alla sorella fu assegnata un’altra camera contrariamente a quanto
aveva chiesto: “Come avrei potuto stare senza di lei,
abituata a muovermi quand’era necessario, e senza le sue buone parole che tanto
mi aiutavano a sopportare il doloroso calvario?
Mi avevano appena adagiata sul letto quando mia sorella Diolinda si
presentò alla porta con la valigia in cui avevamo la nostra biancheria. IL MEDICO NEL VEDERLA, GRIDO’ COME UN
FORSENNATO: “FUORI QUELLA VALIGIA!” Permise l’ingresso alla sorella solo la
prima notte e solo nello stretto tempo per far vedere all’infermiera come
voltare A. nel letto”. Rimasero a
vigilanza delle assistenti guardiane con l’ordine di vigilare su tutti i miei
movimenti. L’infermiera la fece
soffrire. “Il sabato venne il dott. E.
Gomes deAraùjo –Reale Accademia di Medicina di madrid- specialista in malattie
nervose e artritiche. La mia prostrazione era tale che non udii quando bussò
alla porta, sempre chiusa a chiave. Lo
udii solo quando, vicino al mio letto, sussurrava all’infermiera: “E’
spacciata, è spacciata”. Con ciò il
medico voleva intimorirla affinché non digiunasse e la riprese duramente per
questo motivo ed A. capì sentendosi profondamente ferita. Il medico tutore Azevedo la difende dicendo
ch’era là solo per le prove del suo digiuno e la normalità di mente niente più. Vi è la farsa del “cattivo”, Arajùjo e del
“buono” Azevedo. Dapprima adoperarono
toni duri contro il digiuno poi passarono alle buone. Ogni volta che il medico apriva la porta era
per A. un’angoscia. Il tempo passava col
succedersi scambiarsi delle infermiere secondo la volontà del medico con alcune
A. soffriva di più perché oltrepassavano i limiti dei loro doveri e diritti.
Alexandrina subì anche un altro medico, Alvaro che gli mandò una sua
sorella sorvegliante e fu il periodo peggiore.
La nuova sorella sorvegliante controllava perfino se la sorella di A.,
nel breve periodo di voltarla nel letto, le avesse lasciato qualcosa: “con la
scusa di non sentire freddo mi scopriva e poi mi ricopriva meticolosamente e
cercando” “..e A. apriva le braccia come di resa..Fu tolta tutta la biancheria
per essere ispezionata”. Rigore
“scientifico” per l’analisi sul digiuno durata 40 giorni e 40 notti.. Alexandrina fu portata in ospedale per
essere cavia sul suo fenomeno di sopravvivenza al digiuno di cui avevano
parlato anche i medici. La relazione del
suddetto medico ospedaliero Araùjo riguardo il trattamento di A. aveva per titolo “Notevole caso di astinenza ed anuria”
e si scrive che: “E’ per noi assolutamente certo che, durante quaranta giorni
di degenza, l’Ammalata non mangiò ne bevve: l’insieme delle cose osservate ci
porta a credere che tali enomeni possano venire da tempi precedenti. Non possiamo dubitarlo. Forse da tredici mesi secondo le informazioni
avute. Non sappiamo”. Il medico scambia la fede di A. come malattia
giudicandola per questo ammalata. Alexandrina era ridotta a cavia affinché si potesse
operare con regole sperimentali rigide per non inficiare la sperimentazione
stessa sul suo lungo digiuno che non le causava serie conseguenze se non la
morte stessa: una sfida alle certezze della medicina. Il suo medico tutore, che faceva la parte di
chi la difendeva ma che sosteneva la sperimentazione convincendola al ricovero
scrisse la sua relazione: “In questo
strano caso, vi sono particolari, i quali per la loro importanza fondamentale
di ordine biologico, come per la durata dell’astinenza dai liquidi e l’anuria,
ci lasciano perplessi, in attesa di una spiegazione che porti luce
necessaria”. La relazione di Azevedo
continua con il medico ospedaliero Alberto de Lima della facoltà di medicina di
Oporto – cioè aderente all’ospedale dove A. era già stata forzatamente
condotta-. Nella relazione entrambi i medici hanno il coraggio di asserire che
A. ricoverata all’ospedale Foce del Duro fu seguita da Gomes de Araùjo e sotto
la vigilanza giorno e notte di persone coscienziose e desiderose di scoprire la
verità e che la sua astinenza da solidi e liquidi fu assoluta durante tutto
quel tempo. Infatti, scoprirono bene le lenzuola per vedere se la sorella in
quel breve periodo che la visitava per voltarla nel letto non le avesse
lasciato cibo o acqua. Alexandrina fu
deportata in ospedale per malafede dei medici nei suoi confronti, sarebbe stato
sufficiente un controllo da assistenza domiciliare che avrebbe provocato meno
traumi e torture ma non sarebbe stato così professionale, specialistico, come
all’interno di un ospedale; vero e proprio panottico; che avrebbe comportato
prestigio di ricerca per la carriera dei medici di fronte ad un caso in cui il
lungo digiuno non comportava cambiamento di peso, di temperatura, di
respirazione, di tensione, del polso, del sangue, delle sue facoltà mentali e
che non implicava necessità naturali. Il
tutto viola le leggi della fisiologia e della biochimica non dando alcuna
spiegazione della sopravvivenza di questa che chiamano ammalata. Oltre tutto si confermano i molti
interrogatori e moltissime conversazioni per dimostrare l’ottima disposizione e
lucidità di spirito della cavia Alexandrina, e non lo si riporta per denunciare
il supplizio della degente ma come test psichiatrico per una tale
situazione. I medici ospedalieri
lasciano i resti, gli avanzi a coloro, che fido, li hanno serviti, i religiosi,
in merito a quel breve periodo di un venerdì alle ore quindici dove si
sospettano fenomeni mistici. L’attestato
è firmato in data 26 luglio 1943 e fu spedito ad un egregio professore dal
Reverendo P.Mariano Pinho – guarda caso quello che era stato “ingiustamente”
estromesso come tutore di Alexandrina e che ora ha un ruolo nel
prestigioso caso-. Così risponde il
suddetto egregio Innominato: “Nel restituire al mio amico reverendo e cliente
le copie delle relazioni mediche…Fu soprattutto come medico in nutrologia, e
non soltanto come cattolico, che trovai interessante ciò che avvenne nella
suddetta ammalata –condivide il ruolo di ammalata di A. piuttosto che inferma.
Ma ammalata di cosa? Di fede. A. ringraziò il medico Arajùo per la serietà con cui aveva svolto il suo compito, nel farla soffrire nell'ubbidienza ed anche perché è cosi che si pretende in tutti i luoghi di feroce dittatura (vedi filmato allegato al post). A. subì l’osservazione psichiatrica anche per appurare
se vi fossero segni d’isterismo. Per A.
vi fu una completa commissione d’indagine insospettatissima e competente che
l’osservò con rigorosa vigilanza. Alexandrina si aggiunge a tutte le altre
figure di sante. beati, guru etc. riprese nei rispettivi post del presente blog
che subirono il trattamento medico ospedaliero ed a cui si difesero con la fede
sopportando fino allo strazio gli abusi, sopraffazioni, umiliazioni, inganni e tutto ciò che può
rendere l’idea di luoghi malevoli (in termine religioso malefici) resi necessari perfino per ciò che vi è di più
naturale come la gravidanza –oggi monitorata per giustificare i farmaci che
serrano chimicamente l’utero- e il parto –cesareo di regola- tanto che una
donna incinta o partoriente che non si voglia mettere in sicurezza medico
ospedaliera può sospettarsi potenziale infanticida.