domenica 9 novembre 2014

Alexandrina da Costa, o della fede contro la dannazione medico ospedaliera

Il presente post continua da quello immediatamente precedente “Il “Misterioso salto” dalla violenza carnale alla violenza ospedaliera” e considera la seconda parte degli abusi e violenze medico ospedaliere ai danni di Alexandrina da Costa la quale non poteva scappare da tutto ciò in quanto rimasta paralizzata per tentare di fuggire da una violenza carnale gettandosi dalla finestra.  Vedremo, in questa seconda parte, che nonostante i maltrattamenti, umiliazioni, violazioni della privacy, soprusi e molto altro ancora riportato nella prima parte  il calvario medico ospedaliero di Alexandrina non solo non finiva lì ma si inaspriva ancor più negli anni a venire.  Infatti, A. carica di fede, volle vivere di solo ostia consacrata (Comunione); in sintesi digiunava in modo assoluto a partire dal 27 Marzo 1942, così per oltre 13 anni.  La sopravvivenza ad un tale eccezionale digiuno non passò inosservata a persone influenti che deviarono una tale forza della fede in un sospetto evento “soprannaturale” ed elaborarono una sentenza ad hoc che provocò l’immediato intervento nel porre in sicurezza A. affinché non fosse oggetto di continue visite per lo studio di tali straordinari fenomeni.  Comunque, tutto ciò – calunnie, umiliazioni, disprezzi etc.- creò diffidenza verso A. anche da  parte di chi la stimava.  A. fu privata del suo tutore P. Mariano Pinho e con l’imposizione di consegnare tutte le lettere ricevute dal suo direttore (altro abuso della privacy).    In seguito le fecero visita cinque persone e lei individuò tra questi un medico; il loro interrogatorio fu fatto di frecciate.  Tutto ciò non era che il riferirsi nel rinchiuderla in ospedale per osservazione dopo il 13° mese di assoluto digiuno.  Infatti, il 27 marzo 1943 fu assoggettata ancora a visite mediche che sopportò con rassegnazione e coraggio. Il 4 Giugno il medico tutore e il confessore ordinario comunicarono e convinsero A. e la sua famiglia al ricovero ospedaliero: sarebbe stata isolata per un mese in osservazione.  “Ella rispose immediatamente di no! Ma si sentì subito per soggezione ad obbedienza all’Arcivescovo, del suo direttore e medico curante e tutti coloro a lei interessati .  Costretta così ad accettare A. avanzò le seguenti condizioni:  A) La Comunione quotidiana. B) Di essere sempre accompagnata da sua sorella. C) Di non essere più sottoposta ad alcun esame perché andava per osservazioni e non per esami. 
 Il 10 giugno partì per l’ospedale Foce del Duro e fu per lei strazio la separazione:
  “Il viaggio in ambulanza fu difficile, perché mi sembrava che il cuore non reggesse..con le scosse dell’autolettiga mi sentivo afflitta..Giunti all’ospedaletto della Foce, il dott. Gomes de Araùjo non permise che l’autolettiga mi portasse fino alla porta, chiamò i pompieri affinchè trasportassero la mia barella dopo avermi coperto il volto perché nessuno mi vedesse. La salita delle scale mi costò un martirio perché mi portarono con la testa all’ingiù.  Mi scoprirono il volto solo in camera..”
   L’ingenuità di A. nel dettare le condizioni affinché accettasse l’imposizione ospedaliera si rivelò tale non appena il suo ingresso dove alla sorella fu assegnata un’altra camera contrariamente a quanto aveva chiesto:  “Come avrei potuto stare senza di lei, abituata a muovermi quand’era necessario, e senza le sue buone parole che tanto mi aiutavano a sopportare il doloroso calvario?  Mi avevano appena adagiata sul letto quando mia sorella Diolinda si presentò alla porta con la valigia in cui avevamo la nostra biancheria.  IL MEDICO NEL VEDERLA, GRIDO’ COME UN FORSENNATO: “FUORI QUELLA VALIGIA!” Permise l’ingresso alla sorella solo la prima notte e solo nello stretto tempo per far vedere all’infermiera come voltare A. nel letto”.  Rimasero a vigilanza delle assistenti guardiane con l’ordine di vigilare su tutti i miei movimenti.  L’infermiera la fece soffrire.  “Il sabato venne il dott. E. Gomes deAraùjo –Reale Accademia di Medicina di madrid- specialista in malattie nervose e artritiche. La mia prostrazione era tale che non udii quando bussò alla porta, sempre chiusa a chiave.  Lo udii solo quando, vicino al mio letto, sussurrava all’infermiera: “E’ spacciata, è spacciata”.  Con ciò il medico voleva intimorirla affinché non digiunasse e la riprese duramente per questo motivo ed A. capì sentendosi profondamente ferita.   Il medico tutore Azevedo la difende dicendo ch’era là solo per le prove del suo digiuno e la normalità di mente niente più.  Vi è la farsa del “cattivo”, Arajùjo e del “buono” Azevedo.  Dapprima adoperarono toni duri contro il digiuno poi passarono alle buone.  Ogni volta che il medico apriva la porta era per A. un’angoscia.  Il tempo passava col succedersi scambiarsi delle infermiere secondo la volontà del medico con alcune A. soffriva di più perché oltrepassavano i limiti dei loro doveri e diritti.  

  Alexandrina subì anche un altro medico, Alvaro che gli mandò una sua sorella sorvegliante e fu il periodo peggiore.  La nuova sorella sorvegliante controllava perfino se la sorella di A., nel breve periodo di voltarla nel letto, le avesse lasciato qualcosa: “con la scusa di non sentire freddo mi scopriva e poi mi ricopriva meticolosamente e cercando” “..e A. apriva le braccia come di resa..Fu tolta tutta la biancheria per essere ispezionata”.   Rigore “scientifico” per l’analisi sul digiuno durata 40 giorni e 40 notti..   Alexandrina fu portata in ospedale per essere cavia sul suo fenomeno di sopravvivenza al digiuno di cui avevano parlato anche i medici.  La relazione del suddetto medico ospedaliero Araùjo riguardo il trattamento di A. aveva per  titolo “Notevole caso di astinenza ed anuria” e si scrive che: “E’ per noi assolutamente certo che, durante quaranta giorni di degenza, l’Ammalata non mangiò ne bevve: l’insieme delle cose osservate ci porta a credere che tali enomeni possano venire da tempi precedenti.  Non possiamo dubitarlo.  Forse da tredici mesi secondo le informazioni avute.  Non sappiamo”.  Il medico scambia la fede di A. come malattia giudicandola per questo ammalata.   Alexandrina era ridotta a cavia affinché si potesse operare con regole sperimentali rigide per non inficiare la sperimentazione stessa sul suo lungo digiuno che non le causava serie conseguenze se non la morte stessa: una sfida alle certezze della medicina.  Il suo medico tutore, che faceva la parte di chi la difendeva ma che sosteneva la sperimentazione convincendola al ricovero scrisse la sua relazione:  “In questo strano caso, vi sono particolari, i quali per la loro importanza fondamentale di ordine biologico, come per la durata dell’astinenza dai liquidi e l’anuria, ci lasciano perplessi, in attesa di una spiegazione che porti luce necessaria”.  La relazione di Azevedo continua con il medico ospedaliero Alberto de Lima della facoltà di medicina di Oporto – cioè aderente all’ospedale dove A. era già stata forzatamente condotta-. Nella relazione entrambi i medici hanno il coraggio di asserire che A. ricoverata all’ospedale Foce del Duro fu seguita da Gomes de Araùjo e sotto la vigilanza giorno e notte di persone coscienziose e desiderose di scoprire la verità e che la sua astinenza da solidi e liquidi fu assoluta durante tutto quel tempo. Infatti, scoprirono bene le lenzuola per vedere se la sorella in quel breve periodo che la visitava per voltarla nel letto non le avesse lasciato cibo o acqua.  Alexandrina fu deportata in ospedale per malafede dei medici nei suoi confronti, sarebbe stato sufficiente un controllo da assistenza domiciliare che avrebbe provocato meno traumi e torture ma non sarebbe stato così professionale, specialistico, come all’interno di un ospedale; vero e proprio panottico; che avrebbe comportato prestigio di ricerca per la carriera dei medici di fronte ad un caso in cui il lungo digiuno non comportava cambiamento di peso, di temperatura, di respirazione, di tensione, del polso, del sangue, delle sue facoltà mentali e che non implicava necessità naturali.  Il tutto viola le leggi della fisiologia e della biochimica non dando alcuna spiegazione della sopravvivenza di questa che chiamano ammalata.  Oltre tutto si confermano i molti interrogatori e moltissime conversazioni per dimostrare l’ottima disposizione e lucidità di spirito della cavia Alexandrina, e non lo si riporta per denunciare il supplizio della degente ma come test psichiatrico per una tale situazione.  I medici ospedalieri lasciano i resti, gli avanzi a coloro, che fido, li hanno serviti, i religiosi, in merito a quel breve periodo di un venerdì alle ore quindici dove si sospettano fenomeni mistici.   L’attestato è firmato in data 26 luglio 1943 e fu spedito ad un egregio professore dal Reverendo P.Mariano Pinho – guarda caso quello che era stato “ingiustamente” estromesso come tutore di Alexandrina e che ora ha un ruolo nel prestigioso caso-.  Così risponde il suddetto egregio Innominato: “Nel restituire al mio amico reverendo e cliente le copie delle relazioni mediche…Fu soprattutto come medico in nutrologia, e non soltanto come cattolico, che trovai interessante ciò che avvenne nella suddetta ammalata –condivide il ruolo di ammalata di A. piuttosto che inferma. Ma ammalata di cosa? Di fede.  A. ringraziò il medico Arajùo per la serietà con cui aveva svolto il suo compito, nel farla soffrire nell'ubbidienza ed anche perché è cosi che si pretende in tutti i luoghi di feroce dittatura (vedi filmato allegato al post).   A. subì  l’osservazione psichiatrica anche per appurare se vi fossero segni d’isterismo.  Per A. vi fu una completa commissione d’indagine insospettatissima e competente che l’osservò con rigorosa vigilanza.        Alexandrina si aggiunge a tutte le altre figure di sante. beati, guru etc. riprese nei rispettivi post del presente blog che subirono il trattamento medico ospedaliero ed a cui si difesero con la fede sopportando fino allo strazio gli abusi, sopraffazioni,  umiliazioni, inganni e tutto ciò che può rendere l’idea di luoghi malevoli (in termine religioso malefici) resi necessari perfino per ciò che vi è di più naturale come la gravidanza –oggi monitorata per giustificare i farmaci che serrano chimicamente l’utero- e il parto –cesareo di regola- tanto che una donna incinta o partoriente che non si voglia mettere in sicurezza medico ospedaliera può sospettarsi potenziale infanticida.