La finestra dove è saltata Alexadrina per evitare la violenza carnale
Abbiamo già riportato e discusso la
violazione della Costituzione, almeno quella Italiana oltre a tutti i possibili
abusi e nefandezze varie degli ospedali.
Parlando di Costituzione non si può non andare alla sua sorgente
costituita per gran parte dai partigiani.
Vedremo in questo post vicende da salti dalla finestra per la libertà
per i diritti e dignità a costo della morte e della paralisi. L’anno scorso un noto partigiano e regista,
che aveva combattuto per non sottostare alla dittatura, seriamente limitato nei
suoi movimenti da un incidente, fa il suo ultimo coraggioso gesto di libertà
nel buttarsi dalla finestra evitando di ritornare in ospedale. Diversi mesi
prima ad un suo collega, altrettanto noto regista, non riuscì di gettarsi dalla finestra prima del
suo ingresso all’ospedale (S. Giovanni-Roma) e dovette farlo all’interno di
questi squallidi luoghi. Un giorno,
all’istituto d’arte drammatica di Roma “Duse” dopo un saggio basato sulla
resistenza francese fu chiesto ad un noto partigiano lì presente se ricordava
le sofferenze delle torture subite durante gli interrogatori. Il partigiano rispose che la paura peggiore
non erano le torture in generale, quale ad esempio lo strappo delle unghie che
comporta un dolore intenso e continuo, ma, in particolare, quando ti rompevano
le ossa perché così paralizzato non potevi riuscire a scappare, evadere. Il partigiano continuò a parlare e portò come
esempio una sua evasione con esito positivo.
Condotto da prigioniero in un istituto per lavoro forzato di pulizia
notò che la serratura della finestra era difettosa e poteva essere aperta; non
appena colui che doveva vigilarlo si allontanò fu un’occasione immediata, tanto
immediata da non tener conto dell’altezza della finestra dal suolo né di dove
si trovasse la sentinella sulla strada sottostante – in ognuno di questi casi
ne sarebbe uscito morto -: riuscì ad aprirla e a buttarsi giù da un secondo
piano rialzato e proprio mentre la sentinella era distante e di spalle corse
via guadagnando la libertà.
Sfortunata, invece, fu Alexandrina la quale fuggendo da un tentativo di
violenza carnale si buttò giù da una finestra posta al secondo piano rialzato, infatti,
per lei non vi fu libertà, nemmeno nella morte ma proprio in ciò che era temuto
dai partigiani: la rottura delle ossa che, oltretutto, la rese paralitica per
tutta la vita tanto da non poterla poi far “evadere” dalle visite mediche e
soprattutto dagli ospedali che subì per le loro nefandezze e violenze. Un destino simmetrico anche riguardo a Carmela CIrella che non potendosi buttare dalla finestra prima della violenza carnale
da parte di chi credeva suoi amici vi si buttò dopo aver subito l’internamento
ospedaliero; pertanto subì entrambe le violenze, carnale e ospedaliera ma ebbe
poi la…“fortuna” di trovarsi al settimo piano e trovare la…“libertà” nella
morte.
Alexadrina visse proprio durante la seconda guerra mondiale (ed anche
una decina d’anni dopo) ma pur non subendo la guerra subì non da meno di un partigiano
catturato ed in più continuò anche dopo in una sofferenza, violenza, senza o
quasi tregua. Grazie al prezioso documento sulla storia di
Alexandrina si può far luce sui sentimenti di chi subisce la demenzialità medico specialistica e la chiusura nei loro istituti ospedalieri a fare da cavia, come
fu Alexandrina.
Alexandrina era ispirata a Fatima e nel 1928, già inferma, chiese di
essere aiutata ad andarci ma i religiosi, confidando più sui suggerimenti
medici che sulla fede, glielo impedirono –alo stesso modo di come lo impedirono
ad un frate malato deviandolo in ospedale dove peggiorò e morì. Circa dieci anni dopo i religiosi assieme ai
medici costrinsero Alexandrina a partire per l’ospedale di Oporto per analisi
approfondite e a lei non rimase che porre in evidenza l’ingiustizia e la contraddittorietà
nell’avergli negato il viaggio a Fatima quando non stava così male e il
pretendere ora, in uno stato peggiore, il viaggio all’ospedale di Oporto.
Agli esami dei teologi A. dovette subire quelli medici per lei assai
dolorosi perché, come riferisce, lasciavano il suo corpo in misero stato: “Mi
pareva di andare di tribunale in tribunale per essere giudicata, come se avessi
compiuti i peggiori crimini”. “Quanto mi
costava vederli entrare in camera mia e, dopo di avermi esaminata e interrogata,
il saperli riuniti in altra sala per discutere il mio caso, lasciando me sotto
il peso della maggior umiliazione! Mi
pare che neppur il eggior crimnale sarà giudicato con più minuziosità… Ricordo
che mentre il direttore mi parlava della venuta di alcuni medici provai un
grande tormento… Mancavano proprio i medici per completare il mio
calvario! Alcuni di loro furono come
carnefici sul mio cammino”.
Il 6 dic. 1938 fu messa in ambulanza per Oporto e fu un viaggio
dolorosissimo per tutte le tre ore e mezza.
Ella fa presente che una volta arrivata all’ istituto figlie di maria
Immacolata vene il medico Peceguiro e fu solo per aumentare i suoi dolori.
Anche il ritorno fu doloroso. Con gli
esami dei medici e dei teologi il suo caso fu diffuso al popolo aumentando il
suo martirio; contro il desiderio della privacy.
Il dottor Araujo esaminò scrupolosamente
Alexandrina partendo dai dati dell’archivio medico familiare. All’epoca, chiaramente, non vi erano i
computer per archiviare una gran mole di dati iatro-genealogici eppure si
riporta l’assenza di alcolizzati né anormali; qualche canceroso e
tubercolotico; tutti attivi di temperamento nervoso e franco; di buoni costumi,
buona gente. Pensate ora alla vertiginosa
mole di dati individuali e genealogici provenienti da qualsiasi ambito pubblico
e privato di un individuo nei nostri giorni: dal profilo
psicologico-psichiatrico, comportamentale dall’asilo all’università, dal lavoro
(o disoccupazione) all’età della pensione.
Ella fu interrogata da sacerdoti che pubblicarono tutto violando la
privacy. Diversi giorni dopo, 26 dic. 1938, A. fu
visitata dall’eminente psichiatra Elisio Moura che la trattò crudelmente: “Mi
trattò crudelmente, volendomi mettere a sedere su una sedia con tutta la
violenza di cui fu capace. Non potendo
ottenere, mi buttò come corpo morto sul letto, tentando su di me una ginnastica
che mi fece soffrire orribilmente; poi mi turò la bocca, mi rigirò parecchie
volte sul letto con rudezza facendomi battere col capo contro il muro. Il
medico accortosi che stavo per svenire, mi diede uno schiaffò e mi gridò: “Mia
Giovanina, non perdere i sensi!”.
“Scoppiai a piangere..gli perdonai tutto in vista della serietà del suo
esame”. Tentò di ipnotizzarla e di prenderla anche con le buone maniere ma
fallendo divenne ancora più deciso vedendola infastidita e “si buttò nervoso su
di lei,e quasi per chiuderla in una
morsa, assicurò le ginocchia sotto il ferro del letto,e cercò con le mani di
aggrapparsi al ferro della sponda opposta, ma per quanto sforzo facesse per
tenere ferma l’ammalata, non vi riuscì”. Si congedò con queste parole: “Ciao,
Alessandrina, e prega anche per me”.
Agli esami dei teologi A. dovette subire quelli medici per lei assai
dolorosi perché, come riferisce, lasciavano il suo corpo in misero stato: “Mi
pareva di andare di tribunale in tribunale per essere giudicata, come se avessi
compiuti i peggiori crimini”. “Quanto mi
costava vederli entrare in camera mia e, dopo di avermi esaminata e
interrogata, il saperli riuniti in altra sala per discutere il mio caso,
lasciando me sotto il peso della maggior umiliazione! Mi pare che neppur il peggiore criminale sarà
giudicato con più minuziosità… Ricordo che mentre il direttore mi parlava della
venuta di alcuni medici provai un grande tormento… Mancavano proprio i medici
per completare il mio calvario! Alcuni
di loro furono come carnefici sul mio cammino”.
Nonostante tutto questa è solo la prima parte del calvario medico
ospedaliero imposto ad Alexandrina vedremo fra uno o due post la seconda parte
di questo martirio dove A. sarà ancor più vera e propria cavia nel dominio
medico ospedaliero.