martedì 28 ottobre 2014

Il “Misterioso Salto” dalla Violenza Carnale e Violenza Medico Ospedaliera


La finestra dove è saltata Alexadrina per evitare la violenza carnale

  Abbiamo già riportato e discusso la violazione della Costituzione, almeno quella Italiana oltre a tutti i possibili abusi e nefandezze varie degli ospedali.  Parlando di Costituzione non si può non andare alla sua sorgente costituita per gran parte dai partigiani.  Vedremo in questo post vicende da salti dalla finestra per la libertà per i diritti e dignità a costo della morte e della paralisi.   L’anno scorso un noto partigiano e regista, che aveva combattuto per non sottostare alla dittatura, seriamente limitato nei suoi movimenti da un incidente, fa il suo ultimo coraggioso gesto di libertà nel buttarsi dalla finestra evitando di ritornare in ospedale. Diversi mesi prima ad un suo collega, altrettanto noto regista, non  riuscì di gettarsi dalla finestra prima del suo ingresso all’ospedale (S. Giovanni-Roma) e dovette farlo all’interno di questi squallidi luoghi.    Un giorno, all’istituto d’arte drammatica di Roma “Duse” dopo un saggio basato sulla resistenza francese fu chiesto ad un noto partigiano lì presente se ricordava le sofferenze delle torture subite durante gli interrogatori.  Il partigiano rispose che la paura peggiore non erano le torture in generale, quale ad esempio lo strappo delle unghie che comporta un dolore intenso e continuo, ma, in particolare, quando ti rompevano le ossa perché così paralizzato non potevi riuscire a scappare, evadere.  Il partigiano continuò a parlare e portò come esempio una sua evasione con esito positivo.  Condotto da prigioniero in un istituto per lavoro forzato di pulizia notò che la serratura della finestra era difettosa e poteva essere aperta; non appena colui che doveva vigilarlo si allontanò fu un’occasione immediata, tanto immediata da non tener conto dell’altezza della finestra dal suolo né di dove si trovasse la sentinella sulla strada sottostante – in ognuno di questi casi ne sarebbe uscito morto -: riuscì ad aprirla e a buttarsi giù da un secondo piano rialzato e proprio mentre la sentinella era distante e di spalle corse via guadagnando la libertà. 
    Sfortunata, invece, fu Alexandrina la quale fuggendo da un tentativo di violenza carnale si buttò giù da una finestra posta al secondo piano rialzato, infatti, per lei non vi fu libertà, nemmeno nella morte ma proprio in ciò che era temuto dai partigiani: la rottura delle ossa che, oltretutto, la rese paralitica per tutta la vita tanto da non poterla poi far “evadere” dalle visite mediche e soprattutto dagli ospedali che subì per le loro nefandezze e violenze.  Un destino simmetrico anche riguardo a Carmela CIrella che non potendosi buttare dalla finestra prima della violenza carnale da parte di chi credeva suoi amici vi si buttò dopo aver subito l’internamento ospedaliero; pertanto subì entrambe le violenze, carnale e ospedaliera ma ebbe poi la…“fortuna” di trovarsi al settimo piano e trovare la…“libertà” nella morte.   
   Alexadrina visse proprio durante la seconda guerra mondiale (ed anche una decina d’anni dopo) ma pur non subendo la guerra subì non da meno di un partigiano catturato ed in più continuò anche dopo in una sofferenza, violenza, senza o quasi tregua.    Grazie al prezioso documento sulla storia di Alexandrina si può far luce sui sentimenti di chi subisce la demenzialità medico specialistica e la chiusura nei loro istituti ospedalieri a fare da cavia, come fu Alexandrina. 
    Alexandrina era ispirata a Fatima e nel 1928, già inferma, chiese di essere aiutata ad andarci ma i religiosi, confidando più sui suggerimenti medici che sulla fede, glielo impedirono –alo stesso modo di come lo impedirono ad un frate malato deviandolo in ospedale dove peggiorò e morì.  Circa dieci anni dopo i religiosi assieme ai medici costrinsero Alexandrina a partire per l’ospedale di Oporto per analisi approfondite e a lei non rimase che porre in evidenza l’ingiustizia e la contraddittorietà nell’avergli negato il viaggio a Fatima quando non stava così male e il pretendere ora, in uno stato peggiore, il viaggio all’ospedale di Oporto. 
  Agli esami dei teologi A. dovette subire quelli medici per lei assai dolorosi perché, come riferisce, lasciavano il suo corpo in misero stato: “Mi pareva di andare di tribunale in tribunale per essere giudicata, come se avessi compiuti i peggiori crimini”.  “Quanto mi costava vederli entrare in camera mia e, dopo di avermi esaminata e interrogata, il saperli riuniti in altra sala per discutere il mio caso, lasciando me sotto il peso della maggior umiliazione!   Mi pare che neppur il eggior crimnale sarà giudicato con più minuziosità… Ricordo che mentre il direttore mi parlava della venuta di alcuni medici provai un grande tormento… Mancavano proprio i medici per completare il mio calvario!  Alcuni di loro furono come carnefici sul mio cammino”. 
  Il 6 dic. 1938 fu messa in ambulanza per Oporto e fu un viaggio dolorosissimo per tutte le tre ore e mezza.  Ella fa presente che una volta arrivata all’ istituto figlie di maria Immacolata vene il medico Peceguiro e fu solo per aumentare i suoi dolori. Anche il ritorno fu doloroso.  Con gli esami dei medici e dei teologi il suo caso fu diffuso al popolo aumentando il suo martirio; contro il desiderio della privacy.
 Il dottor Araujo esaminò scrupolosamente Alexandrina partendo dai dati dell’archivio medico familiare.  All’epoca, chiaramente, non vi erano i computer per archiviare una gran mole di dati iatro-genealogici eppure si riporta l’assenza di alcolizzati né anormali; qualche canceroso e tubercolotico; tutti attivi di temperamento nervoso e franco; di buoni costumi, buona gente.  Pensate ora alla vertiginosa mole di dati individuali e genealogici provenienti da qualsiasi ambito pubblico e privato di un individuo nei nostri giorni: dal profilo psicologico-psichiatrico, comportamentale dall’asilo all’università, dal lavoro (o disoccupazione) all’età della pensione.   Ella fu interrogata da sacerdoti che pubblicarono tutto violando la privacy.     Diversi giorni dopo, 26 dic. 1938, A. fu visitata dall’eminente psichiatra Elisio Moura che la trattò crudelmente: “Mi trattò crudelmente, volendomi mettere a sedere su una sedia con tutta la violenza di cui fu capace.  Non potendo ottenere, mi buttò come corpo morto sul letto, tentando su di me una ginnastica che mi fece soffrire orribilmente; poi mi turò la bocca, mi rigirò parecchie volte sul letto con rudezza facendomi battere col capo contro il muro. Il medico accortosi che stavo per svenire, mi diede uno schiaffò e mi gridò: “Mia Giovanina, non perdere i sensi!”.  “Scoppiai a piangere..gli perdonai tutto in vista della serietà del suo esame”. Tentò di ipnotizzarla e di prenderla anche con le buone maniere ma fallendo divenne ancora più deciso vedendola infastidita e “si buttò nervoso su di lei,e  quasi per chiuderla in una morsa, assicurò le ginocchia sotto il ferro del letto,e cercò con le mani di aggrapparsi al ferro della sponda opposta, ma per quanto sforzo facesse per tenere ferma l’ammalata, non vi riuscì”. Si congedò con queste parole: “Ciao, Alessandrina, e prega anche per me”. 
    Agli esami dei teologi A. dovette subire quelli medici per lei assai dolorosi perché, come riferisce, lasciavano il suo corpo in misero stato: “Mi pareva di andare di tribunale in tribunale per essere giudicata, come se avessi compiuti i peggiori crimini”.  “Quanto mi costava vederli entrare in camera mia e, dopo di avermi esaminata e interrogata, il saperli riuniti in altra sala per discutere il mio caso, lasciando me sotto il peso della maggior umiliazione!   Mi pare che neppur il peggiore criminale sarà giudicato con più minuziosità… Ricordo che mentre il direttore mi parlava della venuta di alcuni medici provai un grande tormento… Mancavano proprio i medici per completare il mio calvario!  Alcuni di loro furono come carnefici sul mio cammino”. 

   Nonostante tutto questa è solo la prima parte del calvario medico ospedaliero imposto ad Alexandrina vedremo fra uno o due post la seconda parte di questo martirio dove A. sarà ancor più vera e propria cavia nel dominio medico ospedaliero.